Substack: quello che nessuno ti dice
Come le piattaforme cercano di intrappolare i loro utenti
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🎙️ Un po’ di cose fatte negli ultimi tempi: sono stato ospite dai ragazzi di
nel podcast Actually, si ascolta qua. Su YouTube invece trovate il video del mio intervento allo Storytelling Festival di qualche mese fa, s’intitola L’era della monocultura.📣 Vuoi far conoscere il tuo prodotto o servizio ad un pubblico qualificato di +12,000 lettori di Scrolling Infinito? Scopri come creare contenuti di valore per il tuo brand, tutte le informazioni qui.
La verità su Substack
I commenti che colpiscono di più sono sempre quelli negativi. Qualche tempo fa ne ho ricevuto uno sotto il post con la mia guida su come scrivere una newsletter su Substack: “Come ho raggiunto 10,000 iscritti: vendere le pale ai cercatori d’oro”.
Il commento di Luigi ha colto nel segno perché contiene un pezzo di verità. Quella newsletter ha avuto successo perché dava a chiunque la speranza di raggiungere un risultato, quando forse non è possibile.
Quel post serviva a posizionarsi come snodo centrale del network di Substack Italia, cercando di raccogliere il maggior numero di like, commenti e raccomandazioni. Una pratica che si definisce elite capture: l’occasione di dare un servizio a tutta la comunità viene utilizzata per aumentare l’influenza di un singolo sulla piattaforma.
L’elite capture è una pratica tipica di ogni piattaforma, TikTok, Instagram e YouTube compresi. Queste pubblicizzano a tutti gli utenti le loro funzioni di networking e raccomandazione, ma finiscono per dare più visibilità ai creator col maggiore seguito, perché chi ha già successo è più facile da monetizzare, attraverso accordi pubblicitari o abbonamenti a pagamento, proprio come accade su Substack.
La promessa di successo che sta alla base delle piattaforme deve riguardare solo chi appartiene a una comunità ristretta? O esiste un modo per rompere questo schema e rendere la presenza online di tutti più equa e democratica?
La nascita di una nazione
Substack, la piattaforma per l’invio di newsletter che sto utilizzando per pubblicare questo post, sta provando a far nascere la sua nazione, e per farlo ha bisogno di attirare più persone possibili da tutti gli altri social network.
Lo scrivono gli stessi fondatori nell’ultima lettera agli investitori dello scorso dicembre: “Ci sono moltissime persone che trascorrono la maggior parte del loro tempo su YouTube, TikTok e Instagram e che potrebbero trarre grandi benefici dal modello di Substack. Le nostre speranze per una nuova cultura creativa non possono realizzarsi se Substack non riesce a raggiungere i pubblici e i creator che stanno investendo il loro tempo in quelle app”.
In gioco c’è l’esistenza stessa di Substack che rischia di collassare se non sarà capace di allargare il proprio pubblico. L’ultimo bilancio, pubblicato nel 2021, riportava una perdita di 22 milioni di dollari, mentre le possibilità di monetizzazione rimangono limitate.
A descrivere in maniera semplice e spietata questo meccanismo di attrazione è Alex Zhu, tra i fondatori di TikTok e attualmente capo della strategia di ByteDance, l’azienda che ha acquisito il social network nel 2018.
Dice Zhu: “Creare una community dal nulla è come scoprire un nuovo continente. Dal punto di vista della divisione della ricchezza devi assicurarti che la maggior parte sia distribuita a una piccola quota di persone. Queste diventano modelli di riferimento per tutti gli altri che diranno: "Ehi questa è una persona normale ed è diventata così ricca, anche io posso fare lo stesso”.
Per riuscire in questa impresa bisogna creare una classe di utenti privilegiati, l'élite di cui parla Zhu, e che questa diventi aspirazionale per tutti gli altri che ne vogliono imitare il successo.
Substack lo ha fatto perfettamente con utenti come l’ex dipendente di Airbnb, ora creator a tempo pieno, Lenny Rachitsky.
Lenny non è solo un cittadino modello della piattaforma (la sua newsletter ha quasi un milione di iscritti), ma è stato anche capace di spiegarne i meccanismi ad un pubblico più ampio che vorrebbero i suoi stessi risultati. Anche io ho studiato moltissimi dei suoi post e l’ho citato a più riprese nelle mie guide.
La verità però è che nessuno di noi riuscirà a fare bene come lui: Lenny è più bravo, ha un pubblico più grande e internazionale, è arrivato prima su Substack che lo ha fatto diventare un nodo fondamentale della piattaforma, concentrando su di lui, e su un numero limitato di altri autori, la forza del suo meccanismo di raccomandazione.
Il filtro Substack
Perché il meccanismo di creazione di un'élite capace di attirare utenti da altri social funzioni, è fondamentale che una piattaforma affermi la propria identità.
Substack pubblicizza la possibilità per i suoi iscritti di essere padroni dei propri contatti e di esportare la lista di iscritti alla propria newsletter, offrendo la libertà di trasferirli altrove in qualsiasi momento. Dall’altro lato però fa di tutto per rafforzare il profilo della piattaforma a discapito dei singoli autori.
Sempre più spesso ci troviamo a parlare della nostra newsletter come del “nostro Substack”. Tutte le pubblicazioni della piattaforma hanno infatti un aspetto quasi identico e, sempre più spesso, quando vogliamo leggere qualcosa siamo invitati a scaricare l’app ufficiale.
Substack spinge gli utenti verso la sua app in modo sempre più aggressivo. Vi sarà capitato di ricevere email come quella che riporto qui sotto, in cui vengono segnalate l’attività che il vostro network fa nella sezione Note di Substack.
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Le Note di cui si parla nella mail sono il modo in cui Substack ha cercato di clonare X, inserendo nella piattaforma un servizio simile a un social network tradizionale.
Le Note sono una funzione accessoria per chi vuole soltanto scrivere e inviare newsletter, ma fondamentale per Substack che vuole far rimanere gli utenti al suo interno per più tempo possibile. Non a caso ciascuna di queste email pubblicitarie indesiderate si conclude con il vistoso invito a scaricare l’app di Substack.
La cosa più grave è che gli utenti non hanno possibilità di regolare l’invio di queste mail promo da parte di Substack verso i propri iscritti. Paradossale per una piattaforma che si occupa di email marketing e che fa dell’indipendenza dei creator una bandiera.
Anche una funzione come quella delle raccomandazioni tra newsletter sta iniziando ad avere una connotazione sinistra. Inizialmente la possibilità di essere suggeriti ai lettori di newsletter affini alla propria sembrava un vantaggio competitivo, ma ora questa proposta è così aggressiva da sembrare un dark pattern che manipola le nostre azioni per altri fini.
![](https://substackcdn.com/image/fetch/w_1456,c_limit,f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep/https%3A%2F%2Fsubstack-post-media.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2F1667da5e-ef24-4bd4-908d-db532065bf3d_1527x812.jpeg)
Come si vede dall’immagine qui sopra le persone che si iscrivono ad una newsletter vengono spinte ad iscriversi anche ad altre raccomandate, a volte anche in blocco, oltre che a scaricare l’app di Substack.
Questo aumenta i numeri e la vanità degli autori, ma produce anche una lista di iscritti che non sanno come sono finiti lì, che non sono davvero interessati ai contenuti e che se ne vanno con la stessa facilità con cui sono arrivati.
Per il sistema di élite capture le newsletter più grandi beneficiano in modo sproporzionato dell’effetto di raccomandazione automatica di Substack: più abbonati hanno e più ne ottengono.
Se una newsletter normale attrae il 30% dei suoi iscritti attraverso questa funzione, per autori superstar come Lenny Rachitsky è arrivato fino al 70% come dimostra lo screenshot qui di seguito.
Tyler Denk, CEO della piattaforma di newsletter Beehiiv, ha una prospettiva interessante, anche se di parte, e descrive la metamorfosi di Substack paragonandola ad Amazon. Da piattaforma di newsletter sta infatti diventando simile ad un grande marketplace di informazioni indistinte.
Scrive Denk: “Quando faccio acquisti su Amazon, raramente cerco un marchio specifico. Il mio punto di partenza è l'app o il sito web di Amazon. Le ricerche sono ordinate algoritmicamente per favorire gli interessi di Amazon, dando priorità ai propri prodotti o a quelli con i margini più alti. Dopo un acquisto, ricevo email da Amazon, l'articolo arriva in una scatola con il marchio Amazon, e il mio rapporto con il venditore è praticamente inesistente”.
Come Amazon è diventato sinonimo di negozio universale, cancellando l’identità dei singoli rivenditori, così Substack vuole sostituire il proprio brand a quello dei singoli autori di newsletter.
Quando i tuoi lettori sono costantemente spinti a scaricare l’app di Substack, quei lettori diventano loro utenti. È la piattaforma a possedere la relazione con i lettori e a controllare la distribuzione dei contenuti.
La curva del sorriso
Substack non è la prima piattaforma a tentare una mossa del genere, ma sta seguendo il manuale applicato con successo da tutte le altre.
Questo processo di intermediazione, per cui chi distribuisce un contenuto ne cattura la maggior parte del valore, è conosciuto col nome di Curva del sorriso.
La definizione è stata utilizzata per la prima volta da Stan Shih, uno dei fondatori dell’azienda di hardware Acer. Secondo questa teoria il valore aggiunto in un processo cambia a seconda delle diverse fasi dell’arrivo di un prodotto sul mercato e le due estremità della curva hanno sempre più valore della sua parte centrale.
Ad esempio il valore di un iPhone è nella sua progettazione e nel suo marketing. Poco importa chi lo produce materialmente, infatti viene assemblato in Cina.
La curva del sorriso vale per i prodotti hardware, ma anche per i contenuti. Quando leggiamo un articolo su Facebook o Google non facciamo neanche caso all’editore che produce e pubblica il contenuto. Leggendolo ci rimarrà in mente il nome dell’autore che lo firma o la piattaforma in cui l’abbiamo scoperto (“L’ho visto su TikTok”), e chi sta nel mezzo viene dimenticato.
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La curva del sorriso è il meccanismo che ha portato all’attuale crisi degli editori che si sono fatti sostituire nella scoperta di contenuti dalle piattaforme che hanno catturato il valore del processo.
Substack oggi prova a fare con i suoi autori quello che Facebook, quindici anni fa, ha fatto con i più grandi gruppi editoriali mondiali: spingerli nel mezzo della curva e renderli irrilevanti.
Svegliarsi dal sogno
Substack non è migliore né peggiore delle altre piattaforme e, per dirla alla maniera di Esopo, ci punge semplicemente “perché è la sua natura”.
Dobbiamo riconoscerne i limiti sfruttando, nel frattempo, i suoi innegabili vantaggi. Substack rimane una formidabile macchina per la scoperta di contenuti e un ottimo network di raccomandazione.
Sta a noi trovare il modo di rafforzare il brand e l’identità di ciò che scriviamo in modo che non venga soffocato dai suoi pattern tecnologici.
Ad esempio lavorando sull’originalità della nostra proposta editoriale e, quando possibile, portando i nostri lettori fuori da Substack, dentro un nostro personale funnel di comunicazione.
Redistribuire la visibilità guadagnata linkando nei nostri post pubblicazione affini, organizzare eventi dal vivo, sviluppare prodotti digitali, o sfruttare piattaforme alternative (Slack, Discord, Kajabi) sono tutte soluzioni per mantenere il rapporto diretto con i nostri lettori e evitare di commettere gli errori di chi ci ha preceduto.
La creator economy, Substack compresa, non è un’illusione. Rischia però di essere un miraggio per chi decide di attraversare il deserto senza aver prima studiato la mappa del territorio.
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Analisi spietata che mi sono goduto parola per parola e coincide con quello che penso da quando sono atterrato qua: bellissima piattaforma, ma segue il gioco delle altre piattaforme social ed è meglio non affezionarcisi troppo, ma sfruttarne gli indubbi vantaggi fino a che ci siamo. Credo che molti ne siano già consapevoli, perlomeno lo sono quelli che non hanno formato qui un pubblico da zero, ma lo hanno portato da altrove.
Bisogna anche saperne riconoscere i limiti, e in questo credo che la tua definizione "funnel di comunicazione" sia perfetta: Substack non è una piattaforma per fare funnel di vendita, perlomeno non nel senso classico dell'email marketing. Ma se la nostra conversione rimane attinente a quello che è il nostro lavoro, ovvero la comunicazione, allora può essere un'ottima piattaforma: vuoi che questa conversione si traduca in consulenze, infoprodotti, corsi online o per rinforzare la propria brand reputation e farsi notare da altre realtà editoriali. Quello di fare la nostra risorsa più preziosa, la padronanza delle mail, il loro selling point principale è a mio parere una mossa astuta per tenerci nel loro ecosistema con tutti i vantaggi che ne derivano (e anche lì, prepariamoci al peggio: scarichiamo con regolarità la lista dei contatti, che è un attimo che cambino idea).
PS: sai, quel commento dell'utente ha una bella valenza neutra, non è necessariamente né di apprezzamento né di critica, le sue intenzioni sono ambiguamente interpretabili da chi le legge. A me è piaciuto vederci un bel complimento.
Grazie mille, Andrea, per aver citato “il mio Substack” su RedNote! E, come sempre, per la capacità di unire i puntini e cogliere le sfumature di questa e di tutte le piattaforme.