La quantità ha ucciso la qualità
I nostri gusti e la rete sono cambiati: ecco perché dobbiamo cambiare strategia.
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Oggi parleremo di come la tecnologia ha cambiato il nostro concetto di qualità, mentre gli algoritmi hanno fatto il resto. Prima però qualche aggiornamento:
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Perché la quantità batte la qualità
Quello che sto per scrivere non vi piacerà. Siamo cresciuti con il mito della qualità, del metterci il cuore in tutto ciò che facciamo, oggi però il successo si basa soprattutto sulla quantità di cose che siamo in grado di produrre.
Tutti i creator con cui ho parlato nelle varie Masterclass hanno avuto i migliori risultati aumentando la frequenza di pubblicazione e, personalmente, da quando invio questa newsletter due volte al mese (invece che una) ho visto il maggior tasso di crescita di sempre.
Questo succede per due motivi fondamentali. Il primo è che internet, negli anni, è diventato più intelligente e ha imparato a selezionare per noi le cose più importanti. L’altro motivo è che anche il concetto di qualità non è più quello di un tempo.
Come si è passati, da un mondo in cui contava la densità di un contenuto, ad uno in cui importa soprattutto la quantità di cose che diciamo?
E, di conseguenza, come deve cambiare il nostro modo di comunicare online?
Non c’è più la qualità di una volta
Qualità è una parola a cui è difficile dare un significato. In termini accademici potremmo definire la qualità come l'insieme di caratteristiche che un consumatore valuta per scegliere tra prodotti di prezzo simile, in un contesto simile.
Perché, a parità di prezzo, compriamo uno smartphone invece di un altro? Perché mangiamo in una pizzeria piuttosto che in un’altra? Facciamo la nostra scelta perché, pur tra opzioni simili, percepiamo la qualità di quell’oggetto o ristorante come superiore.
La qualità però non è un concetto immutabile nel tempo e nuovi prodotti ne ridefiniscono continuamente il significato.
Come ricorda l’analista Doug Shapiro, l’esempio più clamoroso è quello di Airbnb che, entrando nel mercato dell’ospitalità, ha offerto soluzioni completamente diverse da quelle dei normali hotel, cambiando il modo in cui veniva valutato un soggiorno.
Prima di Airbnb sembrava impensabile prenotare una stanza nella casa di un privato, o rinunciare ad avere una reception, servizi in camera e tutte le classiche caratteristiche di un qualunque hotel.
Airbnb ha dimostrato che il concetto di qualità per i consumatori era cambiato. La cosa più importante era il prezzo, inferiore a quello di un normale hotel e si è scoperto che tanti preferivano soggiornare in un’abitazione vissuta più che in un’asettica stanza di albergo.
La stessa cosa è successa alla musica: gli MP3 hanno sostituito i CD non perché permettessero di ascoltare la musica con una definizione maggiore (vecchio concetto di qualità), ma perché erano più comodi da trasportare e più economici (nuovo concetto di qualità).
È per questo che i creator registrano i loro video mostrando il microfono con il filo in camera. È per questo che ci informiamo leggendo blog e newsletter, rinunciando a pagare per l’abbonamento ai quotidiani. È per questo che le prime serate televisive sono vinte da serie televisive turche che riscuotono successo in tutta Europa senza avere volti noti e con un linguaggio popolare, rinunciando a competere con le maxi produzioni di Netflix, perché hanno capito che non c’è bisogno di farlo.
Nessuna di queste soluzioni è perfetta, ma sono abbastanza buone per piacere al target a cui sono destinate, un pubblico abituato a consumare contenuti generati dagli utenti, che ha deciso che le cose davvero importanti non sono più quelle di una volta.
Internet è un casinò
La tecnologia ci permette di produrre di più spendendo meno e crea l’ambiente perfetto dove distribuire tutte queste informazioni.
L’errore più comune di chi produce contenuti è quello di pensare di essere al centro dell’attenzione del proprio pubblico. È vero l’opposto: nessuno pensa a noi e, anche per i nostri fan più hardcore, siamo poco più che un’ombra nel retrocranio.
Ci pensa l’algoritmo a nascondere ciò che non funziona o che non interessa alle persone. I nuovi sistemi di raccomandazione, inaugurati da TikTok e adottati da tutte le altre piattaforme, ci hanno tolto dall’imbarazzo della scelta.
In pratica è stato aggiunto uno strato di scoperta alla rete globale, ormai troppo piena di contenuti perché a selezionarli fossero ancora gli umani, decisamente inefficaci in questo tipo di lavoro.

Se internet è diventato una slot machine, allora c’è solo un modo per vincere il jackpot: giocare in continuazione. Ecco perché è fondamentale produrre più contenuti possibili lasciando che quelli migliori emergano da soli.
Ad esempio in Italia una realtà editoriale musicale come Esse Magazine, ma quasi tutti fanno come loro, ripropone continuamente i propri contenuti in formati e momenti differenti. Un'intervista ad un rapper, nata in forma di video, viene spillolata in decine di frammenti postati nei giorni successivi. La stessa conversazione diventa la citazione per una serie di immagini in un carosello Instagram e, addirittura, stampata in formato fisico come rivista da dare in omaggio ai membri più fedeli della community.
In questa maniera si creano molteplici punti di accesso allo stesso contenuto di valore, dando alle persone più possibilità di scoprirlo e consumarlo.
Oggi vale la pena incidere un disco solo se possiamo distribuirlo una canzone alla volta, e vale la pena girare un video solo se possiamo tagliarlo in decine di clip indipendenti. Scrivere un libro resta un’impresa assurda perché non si è ancora trovato il modo di venderlo frase per frase, ma un giorno arriveremo anche a questo.
Colbert VS Corden
La brutta notizia è che internet è diventato un’enorme roulette a cui siamo costretti a giocare a ripetizione. Quella buona è che la posta in gioco è diminuita e non abbiamo troppo da perdere.
Jon Youshaei, ex dipendente di Instagram e YouTube, ora creator, consiglia di “diventare dei Corden e non dei Colbert”. Cosa vuol dire?
Tra i tanti conduttori di late show americani, due dei più famosi sono proprio Stephen Colbert e James Corden. Il primo ha uno show tradizionale, incentrato sulle classiche interviste agli ospiti, inframezzate da monologhi del conduttore.
Corden invece ha strutturato il proprio Late Show come un varietà in cui, oltre alle interviste, ci sono molti altri format. Il più famoso è sicuramente il “Carpool Karaoke”, un caso di successo globale, sia televisivo che online.
Il consiglio di Youshaei è di seguire le orme di Corden e diventare dei variety creator e non solo dei talk show creator, sperimentando quindi più format possibili.
Se siamo fortunati uno di questi potrebbe diventare un successo in grado di cambiarci la vita, in caso contrario la cosa peggiore che può capitare è di produrre qualcosa che passi inosservato, un fallimento da cui riprendersi velocemente.

Aumentando la quantità di contenuti da distribuire cambia anche la loro natura. Sperimentiamo più format imparando dai nostri errori, prototipando rapidamente nuove idee e mettendole subito alla prova del pubblico.
L’art director e creator Pablo Rochat (1,3 milioni di follower su Instagram e collaboratore di brand come Nike, Balenciaga e McDonald) lavora così già da tempo. Il suo motto è “Quantity with a little mix of quality” e il suo account Instagram è un parco giochi in cui sperimenta linguaggi, soluzioni e format di ogni tipo, senza starci troppo a pensare, lasciando che sia l’algoritmo -e il pubblico- a stabilire cosa funziona davvero. I risultati migliori diventano soluzioni da proporre ai clienti commerciali a cui vendere un usato garantito, già testato sul campo con successo.
Tutto questo vale per i contenuti short form, facili da produrre e veloci da consumare, ma anche per quelli long form, come video YouTube o newsletter. Nel nuovo mondo della distribuzione algoritmica il ritorno positivo dalla creazione di più contenuti supera sempre il lato negativo di un possibile fallimento.
Le stagioni dei contenuti
In verità qualcosa da perdere da questa incessante produzione c’è, ed è la nostra salute mentale.
I consigli strategici che ho condiviso fin qui garantiscono risultati ma, se applicati senza equilibrio, rischiano di portare al burnout.
Come si può aumentare il proprio output di formati e invenzioni senza farsi travolgere dalla mole di lavoro e salvaguardando il proprio equilibrio mentale?
Tra le tante soluzioni lette in giro quella che più mi ha convinto è quella di costruire una propria stagionalità.
Che si tratti della comunicazione di un brand, di un editore o, soprattutto, di un singolo creator (quasi sempre una one man band), il consiglio è quello di imitare l’andamento degli show televisivi.
Bisogna comportarsi come una serie televisiva e concentrare il proprio output in un periodo limitato di tempo, diradando le comunicazioni (o rimanendo del tutto in silenzio) per il periodo necessario a ricaricare le batterie e costruire l'attesa del pubblico.
Superstar di Youtube Casey Neistat o Emma Chamberlain, che hanno raggiunto il successo attraverso pubblicazioni quasi quotidiane, hanno diradato sempre di più la loro produzione.
In Italia collettivi come i The Jackal hanno seguito una traiettoria simile, diversificando i loro canali e persino l’infaticabile Francesco Costa ha capito quando era il momento di abbandonare la conduzione del podcast Morning, lasciando il timone della nuova stagione a Nicola Ghittoni.
La cosa più difficile è riuscire a uscire dalla ruota del criceto algoritmica e fidarci del lavoro fatto in precedenza e della community che abbiamo costruito.
Il rischio è che, nel tentativo di essere sempre presenti, si ottenga l'effetto opposto: sparire per sempre.
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Forse non pubblicheremo un romanzo una frase alla volta, ma una volta un capitolo alla volta era il modo migliore per fare acquistare i giornali, strategia tutt'oggi applicata con le riviste di manga, che in questo modo testano quali sono le serie che funzionano e quelle da chiudere. Pratiche vecchie di secoli, non ci inventiamo mai nulla. 😄
Ciao Andrea, l’hai detto che tu che ci avresti fatto arrabbiare :) Non sono arrabbiato però non mi hai trovato d’accordo su alcune cose che vorrei condividere con te.
Quando scrivi che "il pubblico ha deciso che le cose davvero importanti non sono più quelle di una volta", credo ci sia un errore di prospettiva. Il pubblico non decide, subisce e si adatta. Le piattaforme e gli algoritmi hanno cambiato le regole del gioco, e le persone si sono semplicemente adattate all'offerta disponibile, non perché la preferiscano realmente.
Lo spezzettamento dei contenuti di cui parli (un'intervista trasformata in decine di frammenti, citazioni estrapolate per immagini, ecc.) è un problema, a mio avviso, non la soluzione. Quando estrapoli frasi dal loro contesto originale, il significato viene inevitabilmente distorto. Il risultato? La gente commenta e reagisce a qualcosa che non rappresenta fedelmente il discorso originale. Stiamo costruendo dibattiti su frammenti distorti, non su idee complete.
Questo approccio "quantity over quality” si porta dietro conseguenze non secondarie. Prendiamo MAGA - uno slogan che letteralmente non significa nulla, ma ha funzionato alla perfezione perché breve, orecchiabile e facile da ripetere. Ed ecco il risultato: decisioni collettive basate sulla semplificazione estrema di questioni complesse.
Se continuiamo a sacrificare la complessità sull'altare della quantità e dell'engagement facile, ci troveremo a fronteggiare problemi ben più gravi del semplice "non fare numeri online". Stiamo già vedendo le conseguenze: dibattito pubblico impoverito, polarizzazione, incapacità di gestire sfumature, crisi relazionali, etiche, identitarie.
Il mio ragionamento è questo: solo perché qualcosa funziona online non significa che funzioni nella realtà. Ma quando l'online permea ogni aspetto della nostra vita, le conseguenze di questo modo di comunicare tracimano inevitabilmente nel mondo reale, con effetti potenzialmente devastanti.
La domanda vera non è come adattarci meglio a questo sistema per ottenere più visibilità, ma se questo sistema stia realmente servendo i nostri interessi come società.