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Avatar di Giuseppe A. D'Angelo

Forse non pubblicheremo un romanzo una frase alla volta, ma una volta un capitolo alla volta era il modo migliore per fare acquistare i giornali, strategia tutt'oggi applicata con le riviste di manga, che in questo modo testano quali sono le serie che funzionano e quelle da chiudere. Pratiche vecchie di secoli, non ci inventiamo mai nulla. 😄

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Avatar di Emilio Dal Bo

Ciao Andrea, l’hai detto che tu che ci avresti fatto arrabbiare :) Non sono arrabbiato però non mi hai trovato d’accordo su alcune cose che vorrei condividere con te.

Quando scrivi che "il pubblico ha deciso che le cose davvero importanti non sono più quelle di una volta", credo ci sia un errore di prospettiva. Il pubblico non decide, subisce e si adatta. Le piattaforme e gli algoritmi hanno cambiato le regole del gioco, e le persone si sono semplicemente adattate all'offerta disponibile, non perché la preferiscano realmente.

Lo spezzettamento dei contenuti di cui parli (un'intervista trasformata in decine di frammenti, citazioni estrapolate per immagini, ecc.) è un problema, a mio avviso, non la soluzione. Quando estrapoli frasi dal loro contesto originale, il significato viene inevitabilmente distorto. Il risultato? La gente commenta e reagisce a qualcosa che non rappresenta fedelmente il discorso originale. Stiamo costruendo dibattiti su frammenti distorti, non su idee complete.

Questo approccio "quantity over quality” si porta dietro conseguenze non secondarie. Prendiamo MAGA - uno slogan che letteralmente non significa nulla, ma ha funzionato alla perfezione perché breve, orecchiabile e facile da ripetere. Ed ecco il risultato: decisioni collettive basate sulla semplificazione estrema di questioni complesse.

Se continuiamo a sacrificare la complessità sull'altare della quantità e dell'engagement facile, ci troveremo a fronteggiare problemi ben più gravi del semplice "non fare numeri online". Stiamo già vedendo le conseguenze: dibattito pubblico impoverito, polarizzazione, incapacità di gestire sfumature, crisi relazionali, etiche, identitarie.

Il mio ragionamento è questo: solo perché qualcosa funziona online non significa che funzioni nella realtà. Ma quando l'online permea ogni aspetto della nostra vita, le conseguenze di questo modo di comunicare tracimano inevitabilmente nel mondo reale, con effetti potenzialmente devastanti.

La domanda vera non è come adattarci meglio a questo sistema per ottenere più visibilità, ma se questo sistema stia realmente servendo i nostri interessi come società.

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