I social network non sono morti, sono diventati la TV
Mentre immaginiamo la fine della televisione questa diventa il modello per le nuove piattaforme di distribuzione digitali
I social network non sono morti, hanno solo cambiato pelle. Da luogo dove consumare foto e status di amici e parenti sono diventati il modo migliore per scoprire contenuti prodotti da gente che non abbiamo mai sentito nominare.
Potremmo sintetizzare la catena evolutiva delle piattaforme in tre fasi. C’erano una volta i social network (con contenuti di persone che conosciamo) diventati poi social media (con contenuti di brand e editori) fino a quelli che oggi chiamiamo recommendation media (con contenuti di persone che non conosciamo).
Quest'ultima definizione descrive le piattaforme incentrate sul formato video dove quello che compare nel nostro feed si basa su ciò che abbiamo già dimostrato di apprezzare.
Vogliamo solo divertirci
Ecco perché se aprite TikTok o YouTube vedete video di scherzi, balli o animaletti simili a quelli già consumati nelle precedenti sessioni, e a giudicare dal tempo speso degli utenti, sembra che questa sia l’unica cosa che ci interessa davvero: divertirci.
Questo cambio di obiettivo delle piattaforme è la dimostrazione di come YouTube, TikTok ma anche Meta siano diventati simili all’oggetto a cui non avremmo mai pensato di paragonarli: la televisione.
Anche quando accendiamo la tv lo scopo è lo stesso: passare del tempo cercando di pensare il meno possibile. Il paragone tra TikTok, YouTube e i canali televisivi lineari della vecchia televisione non si ferma qui ma scende più in profondità.
Mai dire TikTok
Alzi la mano chi aprendo TikTok non ha avuto la sensazione di sintonizzarsi su una di quelle reti locali che hanno fatto la fortuna di vecchi programmi come Mai dire TV. C’è la cartomante, il comico in erba, l’imitatore e ballerini più o meno sguaiati. Per non parlare di quando i video sono trasmessi in diretta, a quel punto la sovrapposizione tra piattaforma e studio televisivo di provincia è totale.
La nascita dei recommendation media ha portato ad un’evoluzione dei contenuti che consumiamo e dei profili in cui sono raccolti. YouTube o TikTok non sono più un network di persone quanto una raccolta di show ordinati in account personali. All’interno di questi possiamo trovare una o più rubriche che si ripetono regolarmente così come avviene in un qualunque palinsesto tv.
Più le piattaforme diventano tra loro simili e più sono i contenuti e le community che le popolano a fare la differenza. La tecnologia diventa una commodity e le uniche cosa che contano sono i format, i canali e i tormentoni veicolati. Anche in questo caso succede la stessa con la tv: non esiste una sostanziale differenza tecnologica tra Canale 5 e Rai Uno, a cambiare sono i programmi e i volti all’interno di ciascun canale.
Addirittura alcuni creator, per evitare il burnout, preferiscono organizzarsi secondo un concetto di “seasonability”, stagioni di attività che prevedono pause per ricaricarsi e tornare con nuove idee e format. Dove abbiamo già visto accadere una cosa del genere? Ovviamente nei palinsesti tv.
Scelgo di non scegliere
La similitudine più importante tra recommendation media e canali televisivi lineari però non è nella natura dei contenuti quanto nella loro distribuzione. Tutti abbiamo l’amico o l’amica che tornatati dal lavoro continuano ad accendere la tv spiegandoci che almeno così “non devono scegliere cosa guardare”.
Proprio la curatela editoriale è l’asset più importante che permette ai vecchi canali lineari di continuare ad esistere. Alla stessa maniera aver tolto la fatica (“lo sbatti” direbbe Gianluca) della scelta è stata la più grande innovazione di TikTok, tanto che tutte le altre piattaforme, Instagram in primis, seguono a ruota.
Quando apriamo TikTok e ci ipnotizziamo davanti l’ennesima challenge sparisce il senso di colpa di consumare una sonora cazzata. TikTok ha scelto per noi cosa vedere: non è colpa nostra se continua a propinarci questo genere di video. Ovviamente non è così: il rapporto causa-effetto è esattamente l’opposto e l’algoritmo non ha nessun interesse a mentire: se ci mostra determinati video è perché ha capito che ci piacciono.
Togliendoci la possibilità di scegliere le piattaforme ci sollevano dalla preoccupazione di giustificarci, anzi ci danno la possibilità catartica di lamentarci di ciò che guardiamo. La stessa cosa accade da decenni con i reality nei palinsesti televisivi che continuiamo a vedere in massa senza smettere di indignarci per la loro qualità.
A televisizzarsi (perdonate il neologismo) non sono solo le piattaforme ex-social ma anche quelle OTT di streaming. Netflix sperimenta in diversi paesi il suo canale Direct, un flusso di contenuti selezionati editorialmente proprio come un palinsesto tv. Anche la neonata Pluto Tv (ora anche in Italia) si basa su un’ampia serie di canali Fast, ovvero video non più on demand ma organizzati per filoni tematici in streaming.
Come ricorda l’analista Benedict Evans “Ogni forma di curatela può crescere finché non è necessario uno strumento di ricerca. Al contrario, ogni tecnologia di ricerca può crescere finché non sarà necessaria una qualche curatela”. Evidentemente siamo giunti al punto in cui la proliferazione di contenuti è tale per cui la sola salvezza è liberarci di qualunque possibilità di scelta lasciando questa in delega a qualcun altro, uomo o macchina che sia.
Infinite TV
C’è chi ha iniziato a parlare di Televisione infinita per descrivere questo scenario in cui tutti i giocatori in campo convergono verso lo stesso obiettivo con tecniche e linguaggi simili. Che si tratti di video verticali su TikTok, Shorts o video orizzontali su YouTube, di nuove produzioni delle piattaforma OTT o di tv tradizionale lo scopo è il medesimo: tenerci occupati e divertiti per il maggior tempo possibile.
L’unica cosa in cui questo nuovo infinito canale televisivo sarà diverso dal passato è forse nella qualità delle produzioni. Se c’è una cosa che le piattaforme digitali, TikTok in primis, hanno cambiato è la nostra percezione della qualità dei video. Ci siamo abituati a vedere parlare giornalisti e creator tenendo un microfono con il filo in mano, green screen bucati frettolosamente e coreografie approssimative ma proprio per questo affascinanti.
Come muore la TV
Se la Peak Tv delle mega produzioni si è rivelata economicamente insostenibile e la percentuale di Game Of Thrones nella nostra dieta mediatica è destinata a diminuire allora parte dei video che consumeremo in futuro, che sia sullo smartphone o nelle Smart TV, sarà qualcosa di molto più semplice, figlio più dell’estetica di TikTok che dei drama seriali di cui abbiamo discusso per anni alla macchinetta del caffè.
L’intelligenza artificiale non rimarrà in un angolo e già compaiono i primi software che promettono di metterci in condizione di produrre video spettacolari con il minimo sforzo.
Da più di 30 anni immaginiamo la morte della televisione che è invece diventata il modello tecnologico e distributivo delle nuove avanguardie digitali. L’unico modo di vederla scomparire è in questa sua progressiva nebulizzazione. La televisione ha smesso di essere l’oggetto che abbiamo conosciuto trasformandosi da elettrodomestico casalingo a layer di partenza per ogni linguaggio video e dunque anche nel codice genetico di qualunque cosa ci troveremo a guardare nel prossimo futuro.
Parliamo di contenuti
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Segnalibri, speciale AI
Cosa succede quando ti accorgi che un’intelligenza artificiale ha copiato il tuo articolo.
Come la fotografia non ha ucciso la pittura così l’intelligenza artificiale non ucciderà tutto il resto. Lo scrive Kevin Kelly, uno dei fondatori di Wired.
Quando provi a inventare un film con Midjourney la gente poi si arrabbia.
Perché Google non apre a tutti il suo Chat GPT? Perché rischierebbe di perdere soldi.
Proprio oggi ho recensito sul mio blog "La fine dei social" di Mario Moroni. Se non l'hai letto te lo consiglio.
Se vuoi fartene un'idea qui la mia recensione
https://davidegiansoldati.it/articoli/digital/la-fine-dei-social-di-mario-moroni/
Mi trovo in disaccordo con diversi punti espressi in questo'articolo, ma in particolare: sul serio non avremmo mai pensato di paragonare la televisione ai social media? Inoltre, ricondurre l'uso di Tik Tok, YouTube e quant'altro a un solo scopo, quello di divertirsi, è quantomeno semplicistico e sbrigativo. Oltre alla morte della televisione, in tanti si sono spesi a proclamare profezie sulla morte del cinema, della letteratura o del libro e così via. Il risultato? Non sono morti, sono cambiati. Sembra che l'equazione sia morte = non ha più successo come prima o non funziona più come prima. Personalmente credo che dovremmo perdere meno tempo con le stupidaggini su chi è vivo e chi è morto e, piuttosto, guardare ai media nell'ottica della loro rimediazione, cioè al fatto che "i nuovi media sfruttano i contenuti dei media precedenti". In questo modo potremmo vedere, per esempio, come il rapporto tra social e televisione ha già diversi anni o come i social hanno molto da spartire e ri-mediare anche con la fotografia, il cinema e i videogame, fra gli altri.