Ho scoperto la differenza tra creator e creativo
Distinguere l’uno dall’altro è il segreto della comunicazione digitale
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Nell’eterna lotta tra creator e creativi tu da che parte stai? Prima di scoprirlo qualche aggiornamento rapido:
📰 Il Corriere della Sera parla di noi: le conversazioni di Scrolling Infinito con i top creator italiani sono state riprese dal principale quotidiano italiano.
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In collaborazione con SUNTIMES
🎟️ Partecipa ai Creator Days
SUNTIMES e Scrolling Infinito presentano: Creator Days, una serie di incontri esclusivi per entrare nel mondo della creator economy.
Le iscrizioni per il Day #01 di questo giovedì sono chiuse (se hai ricevuto l’invito sei dei nostri), ma sono rimasti gli ultimi posti per il Day #02, affrettati.
La partecipazione è gratuita, ma i posti sono limitati.
Day #02
La rivoluzione della Creator Economy
🗓️ giovedì 17 aprile
⌚ 10:00 - 13:00 - con Andrea Girolami (Scrolling Infinito)
📍 via Borsi 9, Milano @ SUNTIMES
Analizzeremo il cambio dei consumi mediali e come viene distribuito il content digitale nelle piattaforme social e d’intrattenimento. Esploreremo il concetto di community e capiremo come vengono monetizzate attraverso esempi pratici e best practices. Seguirà un light lunch in SUNTIMES
💡FAQ
Gli incontri sono completamente gratuiti.
Gli incontri sono pensati per un numero limitato di professionisti del marketing e comunicazione. L’iscrizione è aperta a tutti, ma verrà effettuata una selezione dei partecipanti per garantire la migliore esperienza possibile.
Creator o creativo? Scopri chi sei
Crescendo ho sempre pensato di somigliare a mio padre. Era lui il creativo della famiglia: lavorava nell'ufficio cultura del comune della mia città, era giornalista pubblicista e scriveva una rubrica sportiva in un giornale locale.
Fino a poco tempo fa la parola creatività racchiudeva ogni professione immaginabile legata all’arte, alla comunicazione e persino al marketing e alla pubblicità, mettendo in un unico calderone giornalisti, videomaker, grafici e attori.
Oggi però le agenzie e le aziende cercano soprattutto creator, una nuova generazione di comunicatori che promettono di essere più innovativi ed efficienti dei tradizionali creativi. Ma è davvero così?
Approfondiamo la questione perché capire la differenza tra creativo e creator significa comprendere come funziona oggi la comunicazione digitale.
Creator VS Creativi
Quando ho bisogno di definire il concetto di creatività faccio sempre ricorso al pensiero di Bruno Munari. Nel suo libro “Da cosa nasce cosa” Munari parla di progettisti professionisti per descrivere figure che “hanno un metodo progettuale, grazie al quale il lavoro viene svolto con precisione e sicurezza, senza perdite di tempo”. Per lui i creativi sono persone che sanno analizzare la situazione e risolvono problemi nella maniera più rapida e semplice possibile.
Munari opponeva alla figura del progettista professionista quella del progettista romantico, che “ha un’idea geniale e che cerca di costringere la tecnica a realizzare qualcosa di estremamente difficoltoso, costoso e poco pratico ma bello”. È una distinzione importante perché ho come l’impressione che, ancora oggi, nel pensiero comune, si scambia spesso la creatività con il gusto di complicare le cose, quando invece si tratta dell’esatto opposto.
Rispetto ai creativi però i creator fanno un passo in più e, oltre a risolvere il problema, si occupano anche di distribuire la soluzione, di monetizzarla e, seguendo tutta la filiera produttiva, ci mettono spesso e volentieri anche la faccia.
Sono creativi le persone che scrivono su Substack e si occupano esclusivamente di creare un contenuto, senza pensare a come distribuirlo efficacemente, alla strategia che ci sta attorno e non sanno come trarne profitto, o non vogliono neppure pensarci. Il loro primo obiettivo è curare la fattura di ciò che fanno, senza preoccuparsi della sua effettiva capacità di diffondersi online.
Sono creator invece quegli autori che, oltre a scrivere il proprio articolo, sanno quanto è importante trovargli il giusto titolo per diffonderlo nelle piattaforme di distribuzione. Sono creator quei musicisti che, oltre ad incidere la canzone, si preoccupano di trovare il giusto concept per il proprio disco, pensano già a come comunicare la propria musica su TikTok, sanno a chi rivolgersi per fare un video. I creator, insomma, hanno il polso del mondo e sanno come sfruttarne il ritmo.
Da Fedez a Cattelan
In un ambito come quello dell’arte figure come Maurizio Cattelan o Damien Hirst somigliano più a creator che a creativi. Per loro l’atto di creare qualcosa è indissolubilmente legato alla sua capacità di diffondersi ed avere successo, prima di tracciare il primo schizzo di un progetto sono già consapevoli di come funzionano il mercato dell’arte e quello della comunicazione, e di come piegarli a proprio favore.
In ambito musicale non posso fare a meno di pensare che figure come Jovanotti o Fedez sono creator ancor prima che musicisti. Il loro obiettivo non è solo quello di scrivere buone canzoni, ma soprattutto di creare un mondo attorno alla propria persona, fatto di merchandising, progetti collaterali, eventi e festival, ben consapevoli che sono loro stessi, e non solo la loro arte, il prodotto che bisogna vendere al pubblico.
I creator si preoccupano di far circolare il più possibile ciò che producono e aggiungono una componente di relazione con la propria audience che spesso manca ai semplici creativi. Questo avviene naturalmente perché si occupano di distribuire direttamente ciò che hanno creato, spesso utilizzando i propri canali proprietari.

Oltre all’idea, i creator prendono in carico anche la relazione con la propria community con cui creano un rapporto parasociale, una sorta di conoscenza a senso unico, per cui chi consuma un contenuto sviluppa un legame affettivo con un personaggio che l’ha creato e che ha l’illusione di conoscere.
È questo sentimento parasociale quello che ci porta a comprare il prodotto del nostro creator preferito, abbonarci al suo canale Twitch o a pensare che sia un nostro amico, o addirittura un familiare, quando invece non lo abbiamo mai incontrato dal vivo.
Per i creator l’atto creativo è il primo passo di una partita ad un videogame di cui hanno letto il manuale d’istruzioni e che vogliono vincere.
Divisi si perde
Non è sempre stato così: un tempo la creatività era completamente separata dalla sua comunicazione o monetizzazione, attività che -si pensava- avrebbero persino rischiato di danneggiarla.
È stato così nel giornalismo dove chi scriveva gli articoli era il più distante possibile da chi si occupava di commercializzare quegli stessi contenuti. Frédéric Filloux, giornalista e imprenditore francese, ex membro del programma Knight Fellowship presso l'Università di Stanford ha scritto spesso del problema.
Filloux parla di “presunta superiorità intellettuale” di una generazione di giornalisti (la sua) che, rinunciando ad occuparsi dell’aggregazione e monetizzazione delle notizie, ha lasciato questa parte del proprio lavoro nelle mani delle piattaforme tecnologiche, che infatti oggi decidono quando e cosa dobbiamo leggere.
Molti dicono che la tecnologia vuole trasformarci tutti in creator che producono contenuti a ciclo continuo per alimentare i suoi ingranaggi pubblicitari. In verità le piattaforme sperano che noi ci accontenteremo di essere dei creativi, demandando a loro il compito di distribuire e monetizzare i nostri contenuti, restando dipendenti dal lavoro che svolgono per noi e che ci rifiutiamo di fare o di imparare.
Substack stessa, su cui state leggendo questo post, ripete in continuazione che vuole lasciarci concentrare sulla scrittura, perché penserà lei a tutto il resto, a curare la nostra community e a farci crescere attraverso i suoi misteriosi meccanismi algoritmici automatici.
La storia dei media degli ultimi decenni, da quando il web è diventato 2.0, ci dimostra che chiunque vuole lavorare con la creatività non può fare a meno di essere anche imprenditore di ciò che crea, perché tutto ciò che trascurerà sarà preso in carico dalle macchine, che lo renderanno prima dipendente e poi superfluo.
Il meglio dei due mondi
Dobbiamo smettere di pensare a creatività e business come due mondi separati e iniziare a immaginare queste due dimensioni come estremità opposte di uno stesso piano.
Una delle migliori sintesi di questo ragionamento l’ha data Ivan Zhao, cofondatore e CEO di Notion (app per la collaborazione di team valutata 10 miliardi di dollari) che in un’intervista ha descritto questo piano inclinato in cui tutti quanti rischiamo di scivolare. “Bisogna trovare un equilibrio, se costruisci qualcosa solo per te stesso e i tuoi valori, e non ci sono altri utenti, significa che stai facendo un progetto artistico o di ricerca. Se al contrario pensi troppo al business finisci per fare qualcosa di generico, facilmente sostituibile [...] l’obiettivo è sempre cercare di creare qualcosa che abbia valore per noi ma che sia anche utile per tutti gli altri”.
Chi è riuscito a mixare con successo queste due dimensioni è Luis Sal. Nessuno metterebbe in dubbio che si tratti di un creator, uno dei più famosi d’Italia, eppure il suo processo produttivo assomiglia a quello di un creativo, quando non di un artista vero e proprio.
Luis Sal da una parte è consapevole della distribuzione dei propri contenuti e dell’andamento del proprio business. In fondo è il ragazzo che è riuscito a mettere sotto scacco Fedez nel suo stesso canale YouTube, “Dillo alla mamma, dillo all’avvocato”, per poi strappargli definitivamente il marchio Muschio Selvaggio.
Dall’altra la carriera di Luis Sal è caratterizzata da un totale disprezzo per l’industrializzazione del contenuto e dalla rinuncia a qualunque processo seriale sia produttivo che distributivo. Nel suo canale YouTube Luis cambia format in ogni singolo video, in un trionfo del classico concetto di creatività.
Se non lo fai tu lo farà qualcun altro
Solo negli ultimi anni ho capito la verità: non somiglio tanto a mio padre quanto a mia madre. Lei ha fatto l’impiegata tutta la vita, la centralinista prima e la cuoca poi, avviando però anche una piccola attività personale come artigiana che, all’alba dei 76 anni, continua a portare in giro per mezza Italia.
Se mio padre era un creativo che lasciava agli altri il compito di distribuire e guadagnare da ciò che faceva, mia madre è la creator della famiglia.
In tutto quello che lei fa, oltre l’idea iniziale, c’è l’attitudine imprenditoriale di chi sa che deve parlare al proprio pubblico e convincerlo a comprare. Dall’utilizzare gruppi whatsapp con le sue amiche (per informarle delle nuove creazioni), al cercare la bancarella più facile da smontare al mercatino, fino a farsi spiegare come funziona un POS collegato all’iPhone per non perdere neanche un possibile acquirente.
Che voi somigliate a vostro padre o a vostra madre c’è una sola certezza: non accontentarvi di essere creativi ma provate ad essere creator. Se non lo farete voi lo farà qualcun altro al posto vostro, e il risultato potrebbe non piacervi.
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Ciao Andrea, grazie per il tuo lavoro! A costo di fare di me stessa il classico stereotipo della scrittrice che fa fatica a stare al passo con i tempi (il che fa un po' ridere, essendo io "peak millennial" classe 1989, ma ormai la mia generazione è oltre lo zeitgeist), confesso di identificarmi con la creativa che ammette di fare fatica a essere creator con una punta di orgoglio. Non che non ci abbia provato: ho due profili instagram diversi per condividere i miei contenuti (che corrispondono a due "prodotti" diversi, uno dei quali è in collaborazione con un'altra creativa che ha sicuramente la stoffa della creator) e ho messo insieme un seguito decente e affezionato. Ma il mio problema, nel fare il passo da creativa a creator, è il tempo. Io non ho il tempo di fare la creator, se voglio fare bene il mio lavoro di creativa e crescere come creativa. Non saprei come andare oltre un semplice post Instagram o LinkedIn di condivisione dei miei scritti - perché è curando quegli scritti che ho qualcosa da condividere. E poi, sì, ci sono le mie naturali inclinazioni. Amo entrare in uno stato di flusso scrivendo un pezzo, e i miei pezzi arrivano sempre se mi ci butto in quella maniera lì; se non mi ci butto per quella che sono, non arrivano. Qual è il senso, quindi? È quella lì che sono - non altro.
La soluzione al tempo e alle inclinazioni che mancano è chiaramente la delegazione a persone che invece hanno entrambe le cose, e le mettono al tuo servizio in cambio di un investimento economico. Purtroppo per il momento l'investimento sarebbe tutto di tasca mia e non so quanto abbia senso, per una scrittrice "classica".
Ho letto tutto Scrolling Infinito e so benissimo che per certi versi faccio parte della resistenza silenziosa. Non sono fuori dal mondo in questo senso - la mia voce online esiste - ma ancora non sono riuscita a trovare il senso ultimo di fare una cosa che non mi corrisponde (soprattutto in un momento della mia vita e carriera in cui posso finalmente permettermi di essere me stessa, perché piegarmi alle logiche altrui mi ha distrutta in passato), anche perché il ritorno economico è un terno al lotto in ogni caso.
Che fortuna avere un papà e una mamma così, forse hai preso il meglio da entrambi? :)
Note personali a parte, leggendoti mi è venuto da pensare "Se il creator non sei tu, per forza dovrà esserlo qualcun altro"... ma io sto pensando alla dimensione di agenzia, dove a volte (spesso?) ci sono figure creative con grandi idee, che non si sporcano le mani a renderle adatte al l'obbiettivo, all'audience, ecc. Deve esserci sempre qualcun altro (uno strategist, un digital marketing manager, ecc.) a fare il creator, a far funzionare le cose.
Detto ciò, terrei separate le considerazioni tra creativi/creator intesi come intrattenitori dell'attuale era social dai giornalisti: questi ultimi spero ancora (romanticamente?) che lavorino per cercare e portare in superficie verità scomode... E che sia anche un po' dovere degli utenti andarsi a recuperare il loro lavoro.
Grazie per gli stimoli alla riflessione!