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Oggi parliamo come cambia il mercato del lavoro: da un lato l’AI è sempre più vicina, dall'altro il talento degli individui non è mai stato così prezioso. Come possiamo sfruttare le nostre competenze specifiche? Come evitare che i talenti delle nostre aziende vadano altrove?
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La guerra del talento inizia ora
Immagina di ricevere una mail con una proposta di lavoro. Ti offrono più di 100 milioni di dollari per passare a un’azienda concorrente. Hai solo poche ore per rispondere. Si tratta di “un'offerta esplosiva”, destinata ad autodistruggersi a breve. Cosa fai?
Non è fantascienza ma quello che sta accadendo in Silicon Valley dove Mark Zuckerberg sta cercando di vincere la guerra per l’intelligenza artificiale provando a rubare gli ingegneri più brillanti ai suoi competitor.
Dieci figure chiave di OpenAI sono passate a Meta grazie a offerte superiori ai 300 milioni di dollari in un periodo di quattro anni. Un programmatore geniale non vale il doppio di uno meno bravo ma cento o mille volte tanto.
Fino a poco tempo fa questa economia di scala del talento era limitata a poche professioni estremamente tecniche, o alle superstar dello sport. Oggi però sta diventando la regola anche per i mestieri della comunicazione e digitali.
Giornalisti abbandonano testate prestigiose per lanciarsi in progetti indipendenti. Creator lasciano grandi team per costruire canali personali. Startup milionarie nascono da piccoli gruppi in poche settimane, anche senza competenze di coding.
Ci hanno insegnato che il lavoro di squadra è la cosa più importante e che si vince soltanto rimanendo assieme agli altri, eppure oggi sembra che il talento individuale sia la merce più preziosa del mercato, oltre che una delle poche qualità che - per ora - non può essere replicata dalle applicazioni AI, che ancora restituiscono risultati mediocri e poco originali.
Come siamo arrivati a questo punto? E cosa come possiamo sfruttare al meglio questo nuovo scenario?
Cosa troverete in questo post:
Non contano le ore ma il risultato
Dalla tecnologia ai contenuti
Perché sta succedendo ora
Le nuove regole dell’economia del talento (per brand e creator)
Non contano le ore ma il risultato
Quando WhatsApp è stata venduta a Meta nel 2014 per 19 miliardi di dollari aveva soltanto 55 impiegati, fino a quel momento era l’azienda più remunerativa di sempre in proporzione al numero di persone assunte.
Nel 2023 OnlyFans aveva solo 42 dipendenti, 61 meno di due anni prima. Nello stesso anno ha generato 31 milioni di dollari di ricavi netti per ciascun dipendente, da 13 a 28 i ricavi di Amazon, Apple, Google o Microsoft.

WhatsApp e OnlyFans non sono casi isolati ma il segnale di un trend sempre più frequente nelle startup dove, anche grazie all’arrivo dell’intelligenza artificiale, i processi sono diventati più semplici e veloci, abbassando le barriere d’ingresso e aumentando la produttività dei singoli dipendenti.
L’azienda più chiacchierata al mondo oggi si chiama Lovable, una piattaforma per lo sviluppo di app basata sull’intelligenza artificiale che permette agli utenti di creare applicazioni web descrivendo ciò che desiderano in linguaggio naturale, senza bisogno di scrivere codice. Lovable cresce a ritmi impressionanti e ha superato la quota di 80 milioni di ricavi ricorrenti annui in solo sette mesi. Il tutto soltanto con un organico di 35 persone.
Sam Altman non è il solo a pensare che il punto d’arrivo di questo processo sarà la nascita di un unicorno, un’azienda tecnologica valutata 1 miliardo di dollari, composta da un solo dipendente, con il talento, la visione e gli strumenti necessari per raggiungere questo risultato.
Anche nel mondo dei servizi, la logica sta cambiando: non conta più il tempo speso, ma l’output generato. Come ricorda l’analista Benedict Evans non è un caso che Martin Sorrell, fondatore dell’agenzia WPP e CEO del supergruppo pubblicitario S4 Capital, abbia dichiarato: "Ci sarà una riduzione dei tempi [grazie all’AI], e quindi bisogna iniziare a sviluppare modelli basati sui risultati”. E se lo stesso principio di efficienza valesse anche per chi scrive, gira o racconta storie?
Dalla tecnologia ai contenuti
The Atlantic, la rivista americana posseduta da Laurene Powell Jobs, vedova di Steve Jobs, è in attivo e ha superato la soglia di 1 milione di abbonati in tutto il mondo. Per mantenere questa sua posizione di leadership ha iniziato a formare un superteam di autori e giornalisti, ciascuno dei quali è disposto a pagare circa 300.000 dollari all’anno.
Quello che il The Atlantic ha capito è che un piccolo numero di firme, seppur costose, può fare la differenza in termini di posizionamento e di reach. La stessa rivista ha avuto un esempio con la storia virale del giornalista inserito per errore nelle chat private con i piani di guerra del Governo USA. Un singolo contenuto che ha fatto la differenza nel bilancio dell’editore, sia in termini di traffico che di abbonati guadagnati.
Le aziende, non solo tecnologiche, stanno iniziando a capire il valore delle superstar dei propri team, anche perché l’alternativa è quella di vederli fuggire. Derek Thompson, storica firma di The Atlantic per ben 17 anni, ha da poco lasciato la rivista per aprire la propria newsletter su Substack.
Non succede solo negli Stati Uniti, ma anche in Italia. Qualche settimana fa abbiamo approfondito il percorso di Selvaggia Lucarelli che, dopo anni passati a collaborare con Il Fatto Quotidiano, ha capito che la gran parte del suo valore non veniva sfruttato e oggi ha una newsletter da cui ricava tra 1 e 2 milioni di euro l’anno.
In maniera simile Alessandro Beloli, uno dei creator di Geopop, ha lasciato il brand di Ciaopeople per lanciare un progetto individuale. La giovanissima giornalista Olimpia Peroni, dopo essere diventata un volto di Fanpage, ha preferito mettersi in proprio come creator indipendente. La lista potrebbe continuare a lungo.
Nei prossimi mesi vedrete sempre più autori e creator fare da sé: nell’era dell’AI conta l’ingegno, non organici mastodontici, e la reach è infinita per chi sa sfruttarla. Ma perché sempre più talenti scelgono la via solitaria? La risposta è nel modo in cui la tecnologia ha fatto crollare i vecchi muri della distribuzione
Perché sta succedendo ora
Spesso pensiamo ai media del passato per il loro valore in termini di competenza, curatela, idee. In verità però giornali, radio e televisioni sono caratterizzati soprattutto dalla barriera d’ingresso alla base delle loro operazioni. Una rete distributiva che consegna quotidiani in tutte le edicole del Paese o una serie di ripetitori che diffondono segnali audio e video superando colline e montagne, sono infrastrutture che solo pochissimi sono in grado di finanziare e sostenere.

Questa parte così onerosa è stata spazzata via da internet: i creativi e gli autori di un contenuto non hanno più bisogno di intermediari o di costose tecnologie per raggiungere i propri clienti, ovvero le persone interessate a quello che hanno da dire.
Se un tempo editori, radio e TV provavano a strappare alla concorrenza volti, voci e firme di punta gli intermediari del presente, le piattaforme tecnologiche fanno lo stesso con autori e creatori. Ciascuna sa che per vincere ha bisogno dei migliori contenuti sulla piazza, e del talento di chi è capace di produrli.

Secondo il New York Times, Spotify ha pagato più di 100 milioni di dollari ad un gruppo di autori di podcast per convincerli a produrre contenuti nella propria piattaforma. Cifra che impallidisce davanti ai 70 miliardi di dollari che YouTube ha elargito ai creator dal 2021 al 2024 tramite il modello di revenue sharing alla base delle inserzioni pubblicitarie AdSense nei video in piattaforma.
Se Spotify prova a strappare i migliori creator a YouTube, qualche mese fa Adam Mosseri, Head Of Instagram, si è fotografato a cena con alcuni dei top creator di TikTok, cercando di approfittare del momento di difficoltà di questa in USA per convincere qualcuno di loro a passare alla concorrenza.
Scompare l’intermediazione, ma resta il problema della sostenibilità: chi finanzierà le prossime idee?
Le nuove regole dell’economia del talento
Non tutte le aziende tecnologiche sono disposte a concedere anticipi milionari, così come non tutte le piattaforme possono dare incentivi ad ogni creator. Se il numero di autori è destinato ad aumentare dove troveranno i soldi per tenere viva e alimentare la propria creatività?
La nuova economia del talento potrebbe portare ad una serie di cambiamenti nel modo in cui i contenuti vengono finanziati e prodotti. Come scrive Adrienne Lahens:
Case di produzione di nuova generazione. I creator non saranno più soltanto volti o fornitori, ma veri e propri collaboratori continuativi che alimenteranno fanbase e sperimenteranno idee a ciclo continuo. Nessuno può più permettersi il lusso di sbagliare, soprattutto quando si investono milioni di dollari, e il modo migliore per vincere è scommettere su qualcosa che ha già dimostrato di funzionare, magari con un pubblico di appassionati già formato e pronto a supportare.
I brand diventano editori. Per la stessa ragione i brand inizieranno a collaborare con i creator non soltanto per sponsorizzazioni, ma anche per creare progetti editoriali collaborativi. Da una parte i creator avranno il denaro per produrre contenuto di qualità e dall’altra i marchi avranno accesso a audience specifiche, differenziandosi dalla concorrenza e aumentando il livello di fiducia dei consumatori.
Il pubblico sarà il produttore. La monetizzazione diretta è in piena espansione. Piattaforme come Substack, Patreon e OnlyFans hanno dato ai creator gli strumenti per trasformare il coinvolgimento dei fan in entrate ricorrenti. E man mano che i contenuti diventano più interattivi e co-creativi, anche grazie all’AI, il valore per i fan cresce.
In conclusione traduciamo queste tendenze in indicazioni concrete che brand e creator possono sfruttare per prendere decisioni nel breve e medio periodo:
Per gli editori e i brand: la buona notizia è che un team molto più ristretto di fuoriclasse potrebbe portare a risultati eccezionali facilmente misurabili, diminuendo drasticamente i costi fissi. La cattiva notizia è che per assicurarsi queste superstar, che hanno l’imbarazzo della scelta, servono investimenti e nuovi modelli di business (revenue share?) oltre che una visione in grado di ispirare fiducia e fedeltà al progetto.
Per i creator e gli autori di talento: la buona notizia è che il loro potere contrattuale non è mai stato così alto e, anche grazie all’AI, continuerà a crescere. La cattiva è che il mercato dei contenuti e della comunicazione diventerà ancora più estremo. Pochi vincitori accumuleranno la stragrande percentuale del valore, mentre agli altri rimarranno le briciole.
Tutti pensano di avere talento. Dimostrarlo sarà sempre più difficile.
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Con Camihawke abbiamo parlato di:
Come sfruttare le piattaforme (senza farsi sfruttare)
Come costruire una community fuori dai social
Consigli pratici per evitare il burnout
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