Cosa significa Content?
Tutti ne parlano ma nessuno ne conosce il significato. Facciamo chiarezza grazie ad un libro della MIT Press
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Il significato del Content
Per chi lavora in ambito digitale è uno dei termini più utilizzati in assoluto. Dal marketing alla strategia, dalla creazione al design, il content è la chiave di volta di qualunque attività online.
La recente ascesa dei Content Creator come forza egemonica nelle nuove piattaforme d’intrattenimento segna il momento perfetto per l’analisi più approfondita di un termine che, per eccesso di duttilità, sembra aver perso un significato preciso.
Ad aiutarmi nell'approfondimento arriva un recente testo della ricercatrice e teorica dei media Kate Eichhorn intitolato semplicemente Content (The Mit Press) che mette in fila in maniera ordinata il succedersi degli eventi che ci ha portato fino a qui.
Oggi il content è definito principalmente dalla sua capacità di diffondersi online. “Circola col solo obiettivo di circolare” scrive la Eichhorn che porta l’esempio dell’Instagram Egg, l’immagine di un uovo capace di battere il record assoluto di like su Instagram (quasi 60 milioni) senza avere un significato informativo o di intrattenimento ma soltanto un obiettivo virale.
Il suo valore di scambio supera il suo valore d’uso, come accade a molte delle serie tv delle piattaforme streaming che ci ostiniamo a voler terminare più per discuterne alla macchinetta del caffè che per il loro valore artistico. Oppure come i tanti influencer “famosi per essere famosi” in grado, proprio come l’uovo di Instagram, di raccogliere attorno alla propria figura grandi numeri senza dovere per forza restituire qualcosa in cambio.
Il secondo elemento fondamentale del content è la scarsa rilevanza che ha la sua struttura formale. Non importa il genere o il medium attraverso cui è veicolato. Infatti è impossibile riuscire a categorizzare il content avvalendosi solo di riferimenti di questo tipo.
L’unica unità di misura è la sua efficacia, ovvero la capacità di investire un determinato settore di comunicazione e produrre crescita organica, obiettivo principale delle strategie fondate sulla creazione di contenuti. È più facile parlare di content in maniera quantitativa che qualitativa (i like si contano mentre il gusto è soggettivo) e di fronte a un grande potenziale di circolazione online la forma che decidete di dargli sarà una scelta secondaria.
Uno degli aspetti più interessanti del testo della Eichhorn è l’introduzione del concetto di Capitale di contenuto (Content Capital). Seguendo il pensiero del sociologo Pierre Bourdieu e della sua distinzione tra capitale economico (il denaro), sociale (relazioni) e culturale (la somma delle conoscenze di un individuo) in rete si aggiunge una nuova dimensione.
Il Capitale di contenuto è la capacità di una persona di produrre content non solo riguardo il lavoro che svolge ma soprattutto sulla propria condizione di artista, scrittore o performer. Ecco spiegata l’ascesa di tanti personaggi: Fedez e Tananai, Tommaso Zorzi o Giorgia Soleri abili sia a creare prodotti di intrattenimento (dischi, show, libri) che a raccontarli attraverso una narrazione continua composta da un ininterrotto flusso di foto, video e messaggi.
Per accrescere il nostro capitale di contenuto non basta però l’attività di singoli creatori ma è necessario avere una rete di riferimento in grado di riflettere la nostra immagine. Serve insomma qualcuno, oltre a noi, che testimoni la nostra identità creativa producendo ulteriori contenuti sull’argomento da poter condividere e linkare.
Per un musicista sono le foto dei fan ad un concerto che raccontano l’avvenimento attraverso un nuovo punto di vista così come le testimonianze di chi ha partecipato a un incontro con uno scrittore, altri esempi sono il racconto dietro le quinte di interviste e ospitate in radio o tv. Il content non serve a promuovere la propria arte ma è arte stessa, qualcosa di simile al concetto di Athletic Aesthetic, l’artista come instancabile atleta della creazione, di cui scriveva qualche anno fa il critico e curatore Brad Troemel.
Anche evidenziando queste caratteristiche specifiche si fa ancora fatica a definire la natura del content. In fondo qualunque cosa potrebbe rientrare nella categoria a seconda di chi è il soggetto che parla. Per un dirigente di Netflix ogni serie o film presenti nella piattaforma sono content, diverso forse per i registi che li hanno realizzati. Allo stesso modo per gli amministratori di TikTok o Instagram la fatica e il sudore di qualunque creator sono assimilabili a questa definizione, mentre per i singoli utenti si tratta di semplice escapismo, di un hobby o un sogno.
L’industria del content è un’entità mutante che nasce in maniera parassitaria alle altre industrie (musica, cinema, tv, tecnologia) ma finisce per fagocitarle. Questo almeno fino alla prossima evoluzione: quella dell’intelligenza artificiale.
Questa muove oggi i primi passi nel tentativo di riuscire dove gli user generated content sono stati solo in grado di avvicinarsi. Il miraggio di qualunque piattaforma, editore e industria è quello di creare un flusso infinito di contenuti di alto valore ma a costo zero e per farlo la maniera migliore è eliminare la componente umana dall’equazione.
I primi articoli scritti da software iniziano a comparire in alcuni siti di informazione e le magie di Dall-E e Midjourney mettono in allerta grafici e illustratori di tutto il mondo. Il prossimo step sarà quello dell’automazione video che prenderà di mira l’attuale generazione di creator. Ma questa è un’altra storia ancora tutta da scrivere.
Un libro a puntate
Il testo qui sopra, riveduto e corretto, farà parte del prossimo aggiornamento di Scrolling Infinito.
Ho lanciato questa newsletter per aggiornare chi ha scaricato e letto Scrolling Infinito ma capovolgendo le cose ora mi piacerebbe che fosse proprio questo il luogo in cui il libro continua a crescere ed evolversi.
Se lo hai trovato interessante sarei felice se lo condividessi con colleghi o amici. Il passaparola è l’unico modo utile con cui far cresce un progetto gratuito come questo.
A proposito, grazie a Vincenzo Cosenza per avermi ospitato nel suo podcast e a Nicola Ferrari per l’invito a Messy Marketing. Grazie anche a Federica Salto per le belle parole su Scrolling Infinito ed averlo condiviso con la sua community. Se vi interessa la moda iscrivetevi alla sua newsletter.
Segnalibri - Speciale TikTok
Cosa succede dopo che la tua canzone diventa virale su TikTok? Uno dei lavori giornalistici più interessanti visti negli ultimi tempi, una ricerca seria e puntuale di Vox su come le nuove piattaforme e la creator economy stanno cambiando il mercato discografico.
Piattaforme e sensi di colpa. “Recentemente ho visto qualcuno lamentarsi che Facebook gli stava consigliando di vedere un video molto rozzo ma sicuramente divertente. La sua risposta indignata è stata che l’algoritmo doveva essersi sbagliato. La verità è che non c’è nulla di rotto, probabilmente avrebbe adorato quel contenuto ma per guardarlo avrebbe dovuto cliccare sul video e questo lo avrebbe fatto sentire in colpa. Lui non vuole essere quel tipo di persona che clicca su cose del genere, anche se lo avrebbe apprezzato. La genialità di TikTok è che la sua interfaccia elimina il problema di cosa le persone pensano di voler vedere eliminando la differenza tra ciò che hanno scelto di seguire e ciò che vogliono davvero vedere. Non è tanto il miglioramento dell’algoritmo quanto liberare dal senso di colpa le persone che si connettono per divertirsi”.
Il paradosso dell’editoria. “Ho trovato un modo per creare un mio pubblico senza avere bisogno di intermediari. Ma proprio questa mia abilità è ciò che fa interessare tutti questi intermediari a me. Le opportunità ti arrivano in maniera direttamente proporzionale alla tua abilità di operare senza di loro”.
Lavoriamo duro e ci divertiamo duro. “C’è un motivo per cui molte persone in America oggi descrivono i social media come una sorta di lavoro. E perché molti, tra cui me, hanno trovato in TikTok una applicazione invece molto più divertente in cui passare il tempo”.
Il passato è passato. “La gente pensa che far tornare il vecchio design di Instagram, o il suo feed cronologico, riuscirà in qualche modo a far tornare la magia di usare Instagram nel 2014. Non succederà. Quel momento è passato e la rete e la cultura sono cambiate in modo irrevocabile. Ancora più importante sono cambiati i contenuti e il modo in cui vogliamo condividerli con gli altri”.